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E l’unità d’Italia a Sanremo è karaoke

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ALDO GRASSO PER IL CORRIERE DELLA SERA –

Se vogliamo ancora preservare il significato profondo dei 150 anni
dell’Unità d’Italia,
bisogna evitare che le celebrazioni si trasformino
in un carrozzone di arlecchinate, e che tutti vi salgano sopra nella
speranza che un marchio redima ogni insulsaggine. Il Festival di Sanremo
celebrerà i 150 anni dell’unità d’Italia con una serata speciale: «Nata
per unire» . La musica unisce, Sanremo unisce, la tv unisce. Cosa non
si sa, ma l’importante è unire. Lo dice il direttore generale Mauro
Masi: «La Rai come servizio pubblico ha deciso di assumersi l’impegno
istituzionale di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia nella maniera
che gli è più consona: far giungere il significato della ricorrenza ad
un pubblico più vasto possibile e con un approccio non elitario».

Passi per l’approccio non elitario, ma siamo sicuri che «Mille lire al
mese» cantata da Patty Pravo sia il modo migliore per far comprendere il
significato della ricorrenza? Lo dice il presidente Paolo Garimberti:
«La canzonetta si mescola con la Storia. Ed è doveroso che Sanremo
celebri i 150 anni dell’Unità perché è una delle manifestazioni tv più
importanti». Passi per la canzonetta che si mescola con la Storia, ma siamo sicuri
che «Il cielo in una stanza?» cantata da Giusy Ferreri ci restituisca un
po’ di senso di appartenenza a una nazione? Ancora una volta dobbiamo
accontentarci di un karaoke della Storia? Siamo pur sempre un popolo che
si vergogna di cantare l’inno di Mameli (di cui conosciamo a stento la
prima strofa), che non ha una canzone paragonabile a «God Bless
America», il brano tradizionale più cantato dagli americani, che vive
la festa dei 150 anni fra liti, fastidi e ignoranze.

Così, al posto di
una religione civile e di un senso dello stato che ci paiono tuttora
estranei,
ci accontentiamo dell’effetto nostalgia, con Max Pezzali che
interpreta «Mamma mia dammi cento lire» o dell’effetto bandwagon, con il
cantante dialettale Davide Van De Sfroos che interpreta «Viva l’Italia». Non è di sdolcinata retorica che abbiamo urgente bisogno («Buongiorno
Italia, gli spaghetti al dente e un partigiano come Presidente» ), ma
che ogni cittadino si «converta» a un nuovo rapporto di responsabilità
nei confronti del Paese. Qui, invece, siamo fermi all’ideologia del «canta che ti passa».


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